Sapevate che ogni settimana ingeriamo almeno 5 grammi di plastica? No, non è uno scherzo di cattivo gusto, ma la triste realtà che si nasconde dietro l’inquinamento marino e che e’ emersa dai risultati di uno studio commissionato dal WWF e realizzato dal team di ricerca sulle microplastiche dell’Università australiana di Newcastle.
Vi starete sicuramente chiedendo come sia possibile. Ebbene, la colpa è tutta delle microplastiche che ormai si trovano ovunque: hanno contaminato gli oceani, la maggior parte degli alimenti e persino l’acqua potabile. Pensate che il tasso di contaminazione negli Stati Uniti ha raggiunto un preoccupante valore del 94%.
Il fenomeno sembra inarrestabile, almeno fino a quando non smetteremo di utilizzare prodotti a base di plastica e affini. Ancora non sappiamo con certezza quali siano le conseguenze di tale inquinamento sulla salute umana; quel che è certo, però, è che la salute degli oceani (e dell’intero ecosistema) sta peggiorando a vista d’occhio.
Cosa sono le microplastiche?
Lo dice la parola stessa: si tratta di minuscole particelle di materiale plastico, la cui dimensione è inferiore a un millimetro. Sono davvero piccolissime, praticamente impercettibili. È incredibile come qualcosa di così piccolo sia in grado di provocare un disastro tanto grande.
“Ci sono più particelle di plastica a 300 metri di profondità di quante ce ne siano in tutta la Great Pacific Garbage Patch”, sostiene Greta Thunberg – la celebre attivista svedese nota per le sue manifestazioni riguardo al cambiamento climatico.
In realtà esistono due diversi tipi di microplastiche:
- Le primarie, che di solito derivano dall’utilizzo diretto di prodotti quali cosmetici, indumenti e dentifrici;
- Le secondarie, che invece derivano dalla frammentazione dei grandi pezzi di plastica che galleggiano a ruota libera nell’oceano (e che si accumulano dando vita alle famigerate isole di plastica).
Entrambe sono ugualmente dannose e pericolose, sia per l’uomo che per il pianeta. Sono talmente microscopiche che i depuratori d’acqua domestici non riescono a filtrarle.
Il risultato? Una dispersione incontrollata nell’ambiente, che finisce per contaminare la catena alimentare di cui noi stessi facciamo parte. Sì, perché le micro particelle vengono inghiottite da pesci, molluschi e altri animali che le scambiano per cibo – e che, a loro volta, finiscono nei nostri piatti.
La plastica impiega moltissimi anni a smaltirsi. Più tempo rimarrà a galleggiare nelle nostre acque, più si sfalderà in micro particelle – e, di conseguenza, l’inquinamento aumenterà a dismisura.
Microplastiche e dove trovarle
Sacchetti di plastica, materiali da imballaggio, polistirolo, attrezzatura da pesca, giocattoli e chi più ne ha più ne metta: questa è solo una piccola parte della spazzatura che sta distruggendo i nostri mari.
La produzione di plastica è aumentata vertiginosamente durante il secolo scorso. Basti pensare che nel giro di soli 70 anni siamo passati da 1,5 a 280 milioni di tonnellate – di cui almeno 8 finiscono dritte nei fiumi e negli oceani, ogni anno.
Anche le microplastiche fanno parte di questo calderone. Sono piuttosto difficili da individuare e smaltire, proprio per via delle loro dimensioni infinitesimali.
Ma quindi, da dove vengono queste minuscole particelle?
Diversi studi hanno dimostrato che le microfibre rilasciate dai tessuti sono tra le peggiori cause dell’inquinamento marino. Ogni volta che facciamo una lavatrice disperdiamo nell’ambiente circa due grammi di microfibre sintetiche come nylon, poliestere ed elastan.
Persino la superficie esterna degli pneumatici è ricoperta da polimeri sintetici misti a gomma e altre sostanze. L’avreste mai detto? Lo sfregamento delle gomme sull’asfalto è responsabile del rilascio nell’atmosfera di minuscole particelle di plastica, che verranno poi trasportate dal vento e dalle piogge fino al mare – con le conseguenze che ormai conosciamo.
Come non menzionare i cosmetici, le creme di bellezza e gli esfolianti, ma anche certi dentifrici. Tutti questi prodotti contengono miliardi di microplastiche, talmente piccole da passare indisturbate attraverso i filtri dei sistemi domestici di depurazione delle acque. Si tratta di un disastro senza precedenti.
Quali sono le conseguenze per la salute?
Purtroppo non sono ancora stati condotti studi specifici sulle conseguenze da ingestione di microplastiche. Quello che sappiamo è che le particelle sono entrate nella nostra catena alimentare, contaminando cibi “insospettabili” come il sale marino, il miele, la birra e persino la carne. Già, perché esistono farine ricavate dai pesci che vengono usate per alimentare il pollame e i suini.
Alcuni sostengono che le microplastiche possano interferire con il nostro sistema endocrino, provocando importanti squilibri a livello ormonale (come infertilità, alterazioni del metabolismo ed endometriosi).
Richard Lampitt, professoredel National Oceanography Centre del Regno Unito, sostiene che: “C’è ancora molta incertezza a riguardo, sono necessarie ulteriori ricerche per capire l’impatto a lungo termine dell’esposizione da plastica sull’uomo”.
L’iniziativa Plastic Free July
L’intero ecosistema è già gravemente compromesso, ma possiamo ancora fare qualcosa per invertire la rotta. Proprio di recente l’hashtag #plasticfree è diventato virale sui social. Il merito è di una campagna lanciata dalla Plastic Free Foundation, un’organizzazione non-profit australiana fondata nel 2011.
Lo scopo dell’iniziativa è sensibilizzare le persone sul problema dell’inquinamento da plastica, e coinvolgerle attivamente nel cambiamento. L’obiettivo della sfida è trascorrere 30 giorni #plasticfree, ovvero senza produrre un singolo rifiuto a base di plastica.
Come fare? Bè, è più semplice di quello che possiate pensare. Prestate attenzione a tutti i prodotti in plastica che utilizzate e/o acquistate ogni giorno: dagli alimenti del supermercato, alle bottigliette nei bar, agli spazzolini in plastica usa e getta. Sostituite ciascuno di questi oggetti con un’alternativa ecologica e riutilizzabile, ad esempio una borraccia, una borsa di tela per gli alimenti e spazzolini riciclabili in bambù.
In questo modo muoverete i primi passi verso uno stile di vita zero waste, e smetterete di produrre centinaia di rifiuti inutili. Se non sapete da che parte cominciare, potete sempre dare un’occhiata all’articolo su Come prepararsi al Plastic Free July. Lì troverete un sacco di suggerimenti su come affrontare la sfida per mettere al bando la plastica usa e getta. Chissà, magari i 30 giorni iniziali diventeranno 60, poi 90 e poi dureranno tutta la vita 🙂
Noi abbiamo scelto di partecipare e dare il nostro contributo alla causa. E voi? vi siete già iscritti? Fatecelo sapere nei commenti!
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