Avrete di certo sentito parlare dell’enorme isola di plastica che galleggia nel tratto di mare situato fra le Hawaii e la California. Ecco, se dovessimo usare un’immagine per descrivere la condizione in cui versano attualmente i nostri mari, sceglieremmo proprio questa.
Purtroppo l’inquinamento marino ha ormai raggiunto livelli preoccupanti. Gli oceani sono invasi dalla plastica, che rimane sospesa in superficie per decenni mettendo a dura prova la sopravvivenza di molte specie marine (e, di conseguenza, anche la nostra).
Ma cosa sono esattamente queste isole di plastica? Perche’ si sono formate? Ma soprattutto cosa possiamo fare per rimediare a uno scempio simile? Abbiamo cercato di rispondere a queste domande nei prossimi paragrafi di questo articolo.
Come si e’ formata
La piu’ grande isola di plastica esistente sull’intero pianeta ha un nome piuttosto altisonante: The Great Pacific Garbage Patch. Eppure, li’ dentro, di nobile c’e’ ben poco. Anzi, noi crediamo che rappresenti uno dei più grandi fallimenti dell’essere umano.
Come accennavamo poco fa, questa montagna di rifiuti galleggiante si trova al largo delle coste della California e misura ben 1.6 milioni di chilometri quadrati. Fa una certa impressione, vero? La maggior parte di noi non riuscirebbe nemmeno a immaginarsi la vastità di una superficie del genere.
Diciamo allora che la Great Pacific Garbage Patch e’ grossa quanto tutta la Francia moltiplicata per 3. Si’, avete capito bene. E’ come se ci fossero tre patrie della baguette, una di fianco all’altra, che galleggiano nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico.
Potrebbe benissimo rappresentare uno Stato a se’, date le sue dimensioni. Ed e’ proprio quello che hanno pensato i ragazzi di Plastic Oceans International, un’associazione ambientalista che ha lanciato una controversa provocazione con l’intento di smuovere le coscienze.
Hanno infatti creato una petizione per chiedere all’Onu di riconoscere l’isola di plastica del Pacifico come uno Stato a tutti gli effetti – con tanto di passaporto e valuta locale – che diventerebbe il 196esimo Paese del mondo. Al Gore, ex vicepresidente USA da sempre impegnato sul fronte ambientale, ha accettato di diventare cittadino onorario di questa nazione emergente – con l’obiettivo, però, di restringere i suoi confini.
Ma com’è potuto accadere? Com’è successo che 80.000 tonnellate di rifiuti di plastica di ogni tipo si siano accumulate proprio in quel tratto di mare? La “colpa†è delle correnti oceaniche che, nel tempo, hanno trascinato la spazzatura proveniente dai maggiori fiumi del mondo fino al mare.
La maggior parte di quei rifiuti proviene infatti da corsi d’acqua come il Gange in India, lo Yangtze in Cina, il Rio delle Amazzoni in Brasile, l’Oyono in Nigeria e molti altri sparsi per l’intero pianeta.
Quando l’immondizia raggiunge il vortice subtropicale del Pacifico del Nord, rimane intrappolata nelle correnti superficiali formate dai venti e inizia ad accumularsi. Quello che vediamo oggi è il risultato di decenni di inquinamento sconsiderato da parte dell’essere umano: un’isola di plastica che ormai vive di vita propria.
La parte più pericolosa di tutta la situazione è che i rifiuti rimangono a galleggiare nelle acque dei nostri Oceani per anni e anni, sfaldandosi un poco alla volta. I pezzi di plastica più grandi si rompono in pezzettini più piccoli che vengono ingeriti da pesci, cetacei, tartarughe, molluschi e volatili. Le conseguenze sull’intero ecosistema sono disastrose, e la situazione continuerà a peggiorare se non ci decidiamo a fare qualcosa.
“Pensare di pulire il mare non è sostenibile†afferma Stefano Aliani, ricercatore dell’Ismar-Cnr. “Per svuotare una vasca da bagno dove il livello dell’acqua è in continuo aumento, la prima cosa da fare non è andare a cercare un secchio più grande. La prima cosa da fare è chiudere il rubinettoâ€.
Bisogna fare molta attenzione a non confondere il sintomo (le isole di plastica) con le cause – fra le altre, una cattiva gestione dello smaltimento dei rifiuti e pessime abitudini di consumo.
Le possibili soluzioni all’inquinamento da plastica
Ma allora cosa si può fare per cercare di risolvere il problema della plastica e limitare l’inquinamento dei nostri mari? Le soluzioni, in questo caso, devono necessariamente arrivare “dall’altoâ€, ovvero dai governi e dalle istituzioni.
Per fortuna l’Unione Europea ha di recente fatto un grande passo avanti. Il Parlamento ha infatti approvato una direttiva mirata a bandire la produzione e l’utilizzo di plastica monouso entro il 2021: niente più cannucce, piatti e posate di plastica, cotton fioc e simili. Verranno promosse solo alternative sostenibili ed ecologiche. Rimane ancora moltissimo da fare, ma questo potrebbe essere il primo passo verso un mondo più pulito.
In realtà , la vera sfida consiste nella realizzazione di sistemi di gestione dei rifiuti più efficienti e orientati al riutilizzo delle materie prime. Attualmente la nostra economia funziona in maniera lineare, secondo il modello “produco, uso e butto viaâ€. La cultura dell’usa-e-getta si è insinuata nella società fino a diventarne parte integrante, trasformandosi in un’abitudine estremamente complessa da eliminare. Solo il passaggio a un tipo di economia più circolare potrebbe dare una svolta alla situazione; il modello da seguire, in questo caso, diventerebbe “produco, uso e riciclo/riduco gli sprechi/riparo e riusoâ€.
Molte grandi aziende stanno cercando di fare la loro parte: alcune si sono impegnate nella diffusione delle bioplastiche, altre come Coca Cola e Unilever si sono poste l’obiettivo di riuscire a riciclare il 100% dei loro packaging entro il 2025-2030. Altre ancora stanno invece investendo diversi fondi nella ricerca di soluzioni per pulire gli oceani e le acque dei fiumi.
Cosa puoi fare tu
Ciascuno di noi può fare la propria parte per cercare di salvare il pianeta. Secondo noi, la chiave sta nella riduzione degli sprechi. Uno stile di vita zero waste è quello che ci vuole per iniziare a produrre meno rifiuti e risolvere il problema alla radice.
Ci sono tante cose che puoi fare per dare una mano all’ambiente e vivere in maniera più sostenibile: fare la raccolta differenziata ad esempio, oppure cimentarti con il riciclo creativo, o ancora sostituire il tuo spazzolino da denti con un’alternativa ecologica in bambù. Sono piccoli gesti che però possono fare un’enorme differenza. Alla fine si tratta solo di modificare un po’ le proprie abitudini: difficile, ma non impossibile! Ne va della salute del nostro pianeta e del mondo che vogliamo lasciare ai nostri figli.
Noi ci crediamo nel cambiamento. E voi?
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